Condivido i risultati di un sondaggio che ho fatto tempo fa sul mio canale Telegram.
Il 54% di chi ha votato associa alla parola produttività delle emozioni negative.
Per approfondire le motivazioni di questo risultato, parto da un articolo di Cal Newport che descrive l’origine del termine produttività.
Il concetto che emerge riguarda il cambiamento che è collegato alla diffusione dell’economia della conoscenza.
In pratica, si parte all’incirca da questo punto:
«L’uso della parola “produttivo” in un contesto economico risale al tempo di Adam Smith, che la utilizzò in “ The Wealth of Nations” (La ricchezza delle nazioni) per descrivere la manodopera che ha aggiunto valore ai materiali. Secondo Smith, un falegname che trasforma una pila di assi in un armadio è impegnato in un lavoro produttivo, poiché l’armadio vale più di quanto costano le tavole originali.»
In seguito emerge anche questa formulazione: “output prodotto per unità di input”.
«Da un punto di vista macroeconomico, questa metrica è importante, perché aumentandola produce plusvalore, che a sua volta fa crescere l’economia e generalmente migliora il tenore di vita.»
«Se si accetta che una maggiore produttività aiuti il bene comune, la domanda diventa come ottenere in modo affidabile questi incrementi. Fino a poco tempo fa, la risposta a questo problema consisteva in gran parte nell’ottimizzazione dei sistemi.»
L’agricoltura, l’industria, le catene di montaggio e tanti altri aspetti migliorarono grazie all’ottimizzazione dei sistemi.
La cosa più rilevante è che l’ottimizzazione veniva sviluppata e ricercata al di fuori dell’ambito dei singoli dipendenti.
Con chi lavora con la propria conoscenza il discorso è molto diverso. Non possiamo sempre essere persone attive come dei macchinari.
Siamo passati da una ricerca della produttività legata ai processi e ai sistemi “esterni alla persona” al trasferimento del compito di migliorare la produttività legato al singolo lavoratore.
Nel corso degli anni la produttività è diventata, quindi, personale.
«Invece di continuare a concentrarsi sull’ottimizzazione dei sistemi, il settore della conoscenza ha iniziato a trasferire sul singolo lavoratore l’onere di migliorare la produzione prodotta per unità di input.»
L’impatto è tuttora complicato da gestire, da un punto di vista pratico e psicologico.
«Nella produttività classica, non c’è limite massimo alla quantità di output che cerchi di produrre: di più è sempre meglio. Quando chiedi alle persone di ottimizzare la propria produttività, questa realtà del di più crea diversi conflitti tra la parte professionale e la parte personale della vita.»
La produttività vissuta male è un continuo tirare una coperta troppo corta che non è in grado di coprire tutto.
Ed ecco che arrivano in soccorso movimenti slow, metodologie come l’Agile, la diffusione di una nuova cultura aziendale, modelli organizzativi orizzontali, e così via.
Con la sempre più crescente necessità di staccare il peso della produttività dal singolo individuo affinché ritorni a carico dei sistemi.
Il modo di lavorare è la chiave che libera dall’output e dal fare di più, con il fine di lavorare meglio e in modo intelligente.
Ti lascio con questa domanda: Come DEFINISCI la produttività?